La Cacciatrice d’Astri fa parte del dittico di Teatro da camera che la Coppelia Theatre ha dedicato alla pittrice surrealista spagnola Remedios Varo.
Uno spettacolo misterioso, romantico e ironico in cui sogni e visioni evocano uno dei massimi capolavori della Varo, Papilla Estelar (1958). Nel quadro, una donna sola, rinchiusa in una torre lontana dal mondo, macina delle stelle per nutrire una luna in gabbia. La luna è da sempre considerata in molte culture un antico simbolo della femminilità. Il quadro è un monito per tutti noi e ci ricorda che se terremo la nostra creatività chiusa in una gabbia, finiremo a nostra volta imprigionati in uno spazio angusto, condannati a ripetere eternamente gli stessi gesti, facendo di noi stessi, a forza di abitudini, degli automi insensati. Quella di Remedios vuole essere una critica feroce contro la mancanza di libertà, un avvertimento a tutte quelle donne che oggi come allora si auto imprigionano, soccombendo sotto il peso delle loro stesse paure.
La tecnica delle marionette da polso è complessa e affascinante perché riesce a coniugare l’ingegneria robotica alla scena, la biomeccanica all’umanità, la scienza al tatto, la macchina ai sentimenti umani: delle protesi al polso raccoglie i movimenti del manovratore che ha impegnate, con grande sforzo e concentrazione, tutti i muscoli, tutte le dita delle mani. Zero elettronica ma soltanto piccoli impercettibili e lievi tocchi, soffi con i polpastrelli che muovono otto binari di fili, che riportano al personaggio, alla marionetta, tutta la sensibilità dell’attore: il mignolo movimenta gli occhi, l’anulare l’apertura della bocca, l’indice e il medio le gambe, il pollice la chiusura delle palpebre e il movimento laterale della testa. I gesti così diventano fluidi, non scattosi né meccanici, realistici, vivi “perché raccolgono la “sporcizia” del manipolatore” donando quella patina di imperfezione che rende l’uomo così dissimile dal robot. Due gli elementi centrali: la sensazione di vita e quella del peso, della gravità, che riescono ad unire e fondere la poesia con la tecnologia, rendendo la seconda più terrena e soffice e restituendo al pubblico un burattino non stereotipato. Il risultato è la fiducia che l’impatto con queste piccole macchine con il cuore riesce a far sbocciare negli spettatori di ogni età. Per questo il lavoro attoriale, fatto di complessità tecnica ma anche di versatilità scenica, è di fondamentale importanza. Coppelia si può tradurre nel motto della compagnia: Arte e Tecnologia.