ALESSANDRO SCINTU – IL MUSICANTE ALL’INFERNO
INFERNO
Tra le grida e le pene dell’Inferno, dove il tempo si contorce e la speranza è cenere, un’anima si muove con passo diverso. Il suo nome è stato dimenticato dalle fiamme, ma la sua essenza è un canto universale. Non cerca fuga né redenzione, ma solo di tessere una quiete, un velo di dolcezza attraverso l’arte che fu la sua vita e ora è la sua eterna ricerca: la musica.
Nelle sue mani, che un tempo accarezzavano il mondo, vibrano gli hangdrum, le loro note d’acciaio risuonano come gocce di luna in un lago d’inchiostro. Poi si aggiunge il santoor, le sue corde pizzicate tessono arabeschi melodici, un ponte fragile tra dolore e armonia. Dalle sue labbra, ora purificate dal fuoco, si sprigiona il profondo richiamo del didjeridoo, un suono ancestrale che sembra parlare alla terra stessa, anche qui, nel cuore della dannazione.
E non è solo. Come un’eco di mondi lontani, fluttuano le melodiose inflessioni dei fiati, sussurri di bambù e legni che portano il respiro delle foreste. Si uniscono i battiti ritmici delle percussioni arabe e africane, un cuore pulsante che sfida il fragore dell’abisso, un richiamo all’unione che supera ogni barriera.
Quest’anima comprende che la musica è l’unico idioma universale, un linguaggio che non conosce razze, età o classi sociali. Qui, nell’Inferno, dove ogni distinzione terrena è annullata, la musica diventa l’ultimo strumento di incontro e di unione. Ogni nota è un tentativo di curare, di lenire, di far fiorire un’impossibile dolcezza in un luogo di eterna sofferenza. La sua è un’esplorazione senza fine, un crescente interesse per il potere curativo della musica, un’eco di speranza che, pur condannata, non smette di risuonare.

